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      Questa vita io vorrei fare, ricchezze immense, morbidezze, e pigliarmi tutti i piaceri del mondo. Ho detto: così Mercurio mel faccia succedere!
      Licino. Ma sai tu, o Adimanto, a che debil filo è sospesa tutta cotesta ricchezza, e che se esso rompesi, tutto va in fumo, e il tuo tesoro sarà carboni ?
      Adimanto. Che vuoi dire, o Licino?
      Licino. Che è incerto, o caro mio, quanto tempo ci vivrai tra le ricchezze. Chi sa se sedendoti a quella mensa d’oro prima di stender la mano, o di assaggiare del paone o del gallo di Numidia, in uno sbadiglio non t’esca l’animuccia, lasciando ogni cosa ai corvi ed agli avoltoi? Vuoi tu ch’io t’annoveri quanti son morti di subito prima di godersi le ricchezze; e quanti ancor vivi ne sono rimasti brutti per un demone invidioso del loro bene? Hai udito certamente che Creso e Policrate, assai più ricchi di te, caddero giù in un attimo dal pinacolo della fortuna. Ma per lasciare anche questi, credi tu di aver fatto qualche patto di star sempre sano e robusto? Non vedi che vita angosciata menano i più dei ricchi, male andati per dolori, chi non può camminare, chi è cieco, chi ha spasimi di visceri? E son certo che non vorresti mai, neppure per una ricchezza doppia di cotesta, patir la vergogna del ricco Fanomaco, e far da femmina come lui. Non parlo poi di quante insidie seguono le ricchezze; de’ ladri, dell’invidia, dell’odio che esse ti attirano. Vedi tu in che ginepraio ti mette cotesto tesoro?
      Adimanto. E tu sempre mi avversi, o Licino: onde non avrai neppure il sestiere; chè lo vuoi proprio smantellare il mio castello.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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