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      Licino. Ecco, hai già preso il costume dei ricchi, e ritratti la promessa. Ma via, o Samippo, dinne che vorresti tu.
      Samippo. Io, che sono di terraferma ed Arcade di Mantinea, come sapete, io non cercherò dagli Dei una nave che non potrò mostrare ai miei cittadini, nè li seccherò per aver tesori e staia di monete; ma giacchè tutto è possibile agli Dei, anche ciò che a noi pare difficilissimo, e giacchè Timolao ha messo per legge che si può cercare da essi ogni cosa senza temere che ce la rifiutino, io chiedo di divenir re, non come Alessandro di Filippo, o Tolomeo, o Mitridate, o altri che ricevettero il regno dal padre, ma vorrei cominciare da masnadiere, con una trentina di bravi e fedeli compagni: a poco a poco altri si uniscono a noi, e siam trecento, poi mille, indi a poco diecimila; infine siam cinquantamila fanti di grave armatura, e intorno a cinquemila cavalli. Tutti col braccio disteso mi eleggono a loro capitano, come il più bravo, e loro guidatore e signore: e così io sono maggiore degli altri re, che per la virtù mia sono eletto a capitanare l’esercito, e non sono erede di uno che con sue fatiche ha fondato l’impero. Tutto questo è simile al tesoro d’Adimanto, ma dà maggiore soddisfazione; perchè uno sa di avere egli stesso creata la sua potenza.
      Licino. Bravo, o Samippo! questo è castello! hai desiderato il più gran bene del mondo, comandarti un tanto esercito, ed essere giudicato il più prode di cinquantamila uomini. V’era un sì mirabil re e capitano in Mantinea, e noi nol sapevamo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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