Il nostro contrassegno sia, Marte. Voi, come la tromba dà il segno, levate il grido, picchiate gli scudi con l’aste, scagliatevi, mescolatevi, non date tempo agli arcieri di ferirci saettandoci da lontano. Ed ecco siam venuti alle mani: Timolao con l’ala sinistra ha ricacciati i Medi, che gli erano a fronte: intorno a me la pugna è ancora incerta, chè vi sono i Persi, e il re tra essi: ma tutta la cavalleria barbara investe la nostra ala destra. Coraggio, o Licino, ed esorta i tuoi a sostenere quest’urto.
Licino. O sventura! Sovra di me tutta la cavalleria, e si son fitti in capo di assaltare me solo; ma i’ mi son fitto un’altra cosa, io: se mi sforzano, me la svigno, mi rifuggirò in questa palestra, e lascerò voi a combattere.
Samippo. Bah, no: già li hai vinti anche tu: io poi, come vedi, fo un duello col re; egli m’ha sfidato, e ritrarmi saria vergogna.
Licino. Sì, per Giove, e subito sarai ferito da lui, chè è cosa da re l’esser ferito combattendo per l’impero.
Samippo. Ben dici: ma la ferita non è profonda nè in parte apparente del corpo; sicchè rammarginata non farà sfregio: ma vedi come io lo investo, e con una lanciata trapasso lui ed il cavallo; e poi troncatagli la testa, e toltogli il diadema, divento re, e sono adorato da tutti. I barbari m’adorano: voi, secondo l’uso greco, mi ubbidirete come signore, e mi chiamerete capitan generale. Dopo di questa vittoria immaginate voi quante città fabbricherò e le chiamerò col mio nome, quante altre ne smantellerò dopo fieri assalti perchè hanno spregiata la mia potenza: ma specialmente mi vendicherò del ricco Cidia, che essendo già mio confinante mi scacciò dal suo campo mentre io passavo un po’ dentro i suoi termini.
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