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      Licino. Ripòsati ora, o Samippo: chè dopo di aver vinta sì gran battaglia è tempo di tornare in Babilonia per celebrarvi la vittoria in un banchetto. Il tuo impero è uscito oltre gli stadii che ti toccavano: spetta ora a Timolao.
      Samippo. Ma di’, o Licino: che castello!
      Licino. Molto più faticoso, o gran re, e più forte di quello di Adimanto. Costui almeno scialava in piaceri e morbidezze, presentando ai suoi convivanti coppe di due talenti, ma tu eri ferito in un duello, temevi e t’affannavi dì e notte, ti dovevi guardare non pure dai nemici, ma dalle insidie coperte, dall’invidia, dall’odio, dall’adulazione di chi ti accerchiava; non avevi un amico vero; tutti per timore o speranza ti facevano gli affezionati. Non godevi un piacer vero neppure in sogno: avevi solamente uno sprazzo di gloria, una veste di porpora ricamata d’oro, un nastro bianco intorno la fronte, e guardie che ti precedevano: poi un gran fascio di fatiche e di noie su le spalle: dare udienza ai legati dei nemici, giudicar di tante cose, spedir ordini ai tuoi uffiziali: ora un popolo s’è ribellato, ora hanno fatta una scorreria nell’impero: tutto temere, di tutto sospettare, insomma dagli altri piuttosto che da te stesso se’ tenuto beato. E poi che umiliazione non è quella di cascare ammalato come gli altri; la febbre non conoscere che tu sei re; e la morte non ispaurirsi delle tue guardie, ma venirsene quando le pare, e sorda ai tuoi lamenti, scoparti senza un rispetto al tuo diadema? E tu caduto da tanta altezza, strappato dal trono reale, te ne vai per la via comune, e simile agli altri sei costretto a trottare nel gregge dei morti; lasciando su la terra un tumolo, un’alta colonna, o una piramide ben disegnata negli angoli, onori fuori tempo e non più sentiti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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