Le statue e i templi rizzati dalle città per onorarti, la grande fama, tutto in breve sparisce, e va nell’obblio: e se anche durasse assai, che ne gode chi non sente più? Eccoti che fastidii, che timori, che pensieri, che fatiche avrai ancor vivo, e che avrai dopo la morte. Ma fanne udire il castello tuo, o Timolao; e bada di sorpassar costoro, da uomo prudente e che sai usar del vantaggio che hai.
Timolao. Vedi, o Licino, se vi si potria riprendere e correggere alcuna cosa. Oro, tesori, staia di monete, o regni, battaglie, e tutti gli affanni che tu ci hai mostrati sul trono, io non vorrò nulla di questo; chè le son cose instabili, ci metttono a molti pericoli, e ci danno più noie che gioie. Io vorrei che Mercurio mi venisse innanzi e mi desse alcuni anelli di particolari virtù: uno mi facesse star sempre bene, col corpo sano, invulnerabile, insensibile al dolore; un altro, che, come quello di Gige, portandolo, mi rendesse invisibile; ed un altro che mi desse più forza di diecimila uomini, sì che un peso che diecimila uomini insieme potrebbero muovere appena, io solo lo solleverei facilmente. Vorrei anche volare molto alto dalla terra, e però bisogneria un altro anello; vorrei addormentare la gente a mio piacere, e che accostandomi ad una porta, la mi si aprisse, schiudendosi il serrame da sè, e togliendosi la sbarra; e un solo anello potria avere queste due virtù. Ma specialmente ne vorrei uno, e mi sarebbe il più caro, che, messolo in dito, mi rendesse amabile a tutte le donne, a tutti i garzoni, a tutti i popoli: sicchè non saria alcuno che non mi amasse, non avesse il mio nome su la bocca: le donne per passione s’impiccherebbero, i garzoni ammattirebbero; saria tenuto beato chi avesse pure un’occhiata da me; il mio disprezzo farla morire d’angoscia; insomma io sarei più bello di Iacinto, d’Ila, e di Faone di Chio.
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