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Musetta. E per questo, o mamma, le altre sono più fortunate e più belle di me?
La Madre. No: ma più giudiziose, e sanno fare le cortigiane: non credono a parolette ed ai giovani che han sempre i giuramenti su le labbra: tu se’ credula, e gli ami troppo gli uomini, e non vuoi starti con nessun altro se non col solo Cherea. Poco fa quando venne quel campagnuolo d’Acarnania, che portava due mine, e neppur egli aveva barba (l’aveva mandato il padre per esigere il prezzo del vino), tu lo canzonasti quel povero giovane, e ti giacesti con quell’Adone del tuo Cherea.
Musetta. Eh? doveva lasciar Cherea, e ricevere quel villano cho puzzava di caprone? Vuoi mettere il pesce col porco, Cherea mio con quell’Acarnese?
La Madre. E sia pure che colui puzzava del salvatico: ma e Antifonte di Menecrate che prometteva una mina, perchè non lo ricevesti? Non è egli bello, e gentile, e dell’età di Cherea?
Musetta. Ma Cherea mi minacciò che ci avria scannati tuttadue, se m’avesse colta con lui.
La Madre. Oh, quanti altri le fanno queste minacce! Perciò dunque rimarrai senza amatori, e ti terrai casta, non come cortigiana, ma come una sacerdotessa di Cerere? Ma via, a proposito: oggi è la festa di Cerere: che t’ha dato egli?
Musetta. Non ha niente, o mamma.
La Madre. Solo costui non ha trovato l’arte di cavar danari dal padre, d’indettare un servo per ingannarlo, di chiederli alla mamma minacciando di andare a farsi soldato se non gliene dà: ma si sta a smungere noi poverette, e non ci dà egli, nè ci fa dare da altri.
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