Ma perchè mi sguardi bieco, e arroti i denti? Se t’ho mancato in qualche cosa, parla: qui c’è Pitia, che ci giudicherà. Ma che? Non mi rispondi, e te ne vai, e mi lasci? Vedi, o Pitia, che mi fa Lisia?
Pitia. Che crudele! Non muoversi a queste lagrime. È sasso, non uomo, costui. Ma a dirti il vero, tu stessa, o Violetta, l’hai guasto col volergli tanto bene, ed a mostrarglielo. Dovevi non farti vedere così accesa di lui: ei lo sa, e se ne tiene. Non piangere, o poveretta, e senti me: per una o due volte scaccialo quando viene: e lo vedrai acceso davvero ed impazzito di te.
Violetta. Va, non lo dire neppure: io scacciar Lisia? Oh, non s’allontanasse egli da me!
Pitia. Torna di nuovo.
Violetta. Tu m’hai perduta, o Pitia: forse ha udito che hai detto: scaccialo.
Lisia. I’ non sono tornato per costei, chè io non la guarderò in faccia mai più, ma per te, o Pitia, affinchè tu non mi condanni, e non dica, Lisia è un crudele.
Pitia. Già l’ho detto, o Lisia.
Lisia. E volevi, o Pitia, che io avessi sofferta questa Violetta, che ora piange, ora, e che io stesso ho sorpresa a dormire con un giovane quand’io non c’era?
Pitia. Infine, o Lisia, ella è cortigiana. Ma quando li hai sorpresi a dormire insieme?
Lisia. Son forse sette giorni, sì sette, era il secondo del mese: oggi ne abbiamo otto. Mio padre sapendomi perduto di questa gioia, mi chiuse, e comandò al portinaio di non m’aprire: ma io che non potevo star senza di lei, me la intesi con Dromone, lo feci curvare vicino al muro del cortile dove è più basso, per salirgli sul dorso, e così facilmente scavalcare.
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