Violetta. Ci sarà. Che m’hai fatto soffrire, o mio bel giovane Pitia!
Pitia. Ma io v’ho anche rappattumati: onde non me ne voler male. D’una cosa ti prego, o Lisia; de’ capelli, ve’, non parlarne a nessuno.
13.
Leontico, Chenida ed Innide.
Leontico. In quella battaglia contro i Galati, dillo tu, o Chenida, come io uscii innanzi a tutti cavalcando un cavallo bianco, e come i Galati, benchè gagliardi, tosto si scombuiarono al vedermi, e nessuno più tenne il fermo. Allora io mi scaglio contro il capitano della cavalleria, e con una lanciata trapasso fuor fuora lui e il cavallo: e contro alcuni rimasti ancora piantati (ed erano un pugno che, sciolta la falange, si mantenevano stretti ed annodati), contro costoro io, sfoderata la spada, e a tutta furia investendoli, ne rovescio quasi sette urtandoli col cavallo; e poi menando la spada, spaccai ad un caporale il capo in due con tutto il collo. Voi poi, o Chenida, poco appresso vi deste ad inseguire i fuggiaschi.
Chenida, o Paperino. E nella Paflagonia, o Leontico, in quel duello contro il Satrapo non mostrasti allora una gran prodezza?
Leontico. Ah, sì, tu mi hai ricordato un fatto non poco glorioso. Il Satrapo che era un omaccione grande, e pareva un guerriero assai bravo, tenendo per niente i Greci, si fece in mezzo, e sfidò chi volesse combattere con lui a corpo a corpo. Tutti si sbigottirono, caporali, colonnelli, il generale stesso che non era un vile. Ei si chiamava Aristecmo il generale, era Etolo, e maneggiava bene la lancia: io ero ancora capitano di mille uomini.
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