Innide. Sei un abbominevole uomo, che il sangue ti gocciolava sopra da quella testa del barbaro che portavi su la sarissa. Ed un tale uomo io abbracciarlo e baciarlo? No, no: liberatemene, o Grazie: costui non è diverso dal boia.
Leontico. Eppure se tu mi vedessi armato, ti dico t’innamoreresti di me.
Innide. Al solo udirti, o Leontico, mi viene la nausea ed il raccapriccio; e parmi di vedere l’inferno, e le ombre degli uccisi, specialmente quel povero caporale col capo spaccato in due: oh, che saria s’io vedessi davvero il sangue, e i cadaveri per terra? Certo ne morirei: io non ho veduto mai uccidere neppure una gallina.
Leontico. Sei così tenera, e pusillanime, o Innina? I’ credevo che ti piaceva udire.
Innide. Fa’ cotesti racconti alle donne di Lenno o alle Danaidi; a cui posson piacere: io per me, torno a mamma mia, chè ancora è dì. Vieni meco, o Grammide. E tu, io ti saluto, o bravo capitano, uccidine quanti ne vuoi.
Leontico. Rimani, o Innina, rimani. Se n’è ita.
Chenida. Tu l’hai spaurita la semplice fanciulla, o Leontico, con tanto agitar di spennacchi, e contare d’incredibili braverie: io vedevo com’ella impallidiva quando tu contavi il fatto di quel caporale, e come tutta si stringeva ed abbrividiva quand’hai detto che tagliasti la testa.
Leontico. I’ credevo di farmene bello con lei. E tu m’hai aiutato a rovinarmi, o Chenida, suggerendomi quel maledetto duello.
Chenida. Non doveva aiutarti a dire una bugia, vedendo che avevi tanta voglia di cianciare? Ma tu hai fatto un’orribilità grande.
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