Partenide. È stata una gelosia, o Coclide, un trasporto d’amore. Crocale gli aveva dimandati due talenti, se voleva tenersela egli solo: e poi che Dinomaco non gliene dava, ella lo scacciò, e gli chiuse la porta in faccia come si diceva ancora: si messe ad amoreggiare con un certo Gorgo, campagnuolo agiato, che da tanto tempo le voleva bene, ed è un buon uomo; e desinando con lui avevano chiamato anche me per sonare. Già il desinare era più che a mezzo, io sonava dolcemente un’arietta Lidia, il campagnuolo s’era levato per ballare, Crocale batteva le mani, era tutta allegria: quand’ecco s’ode picchiare, gridare, sconficcar l’uscio; ed indi a poco si precipitano dentro un otto giovani robusti, tra i quali il Megarese. Ogni cosa va sossopra, e Gorgo, come t’ho detto, steso a terra aveva pugni e calci assai. Crocale, non so come, se l’ha svignata fuggendosi da Tespiada sua vicina. A me poi Dinomaco, dandomi tanti schiaffi: Esci, mi ha detto, e rompendomi i flauti, me l’ha gittati. Io ora corro a dire ogni cosa al padrone. Eh, anche il campagnuolo va da certi suoi amici cittadini, i quali chiameranno innanzi ai Pritani il Megarese.
Coclide. Questo se n’ha dal far l’amore coi soldati, picchiate e querele. Tutti costoro che si spaccian per generali e per condottieri, se t’hanno a dar qualche cosa, aspetta la rassegna, dicono, prenderò la paga, e farò tutto. Alla malora questi spaccamontagne. Fo bene io che con essi non voglio impacciarmi affatto. È meglio per me un pescatore, un marinaio, o un campagnuolo che sa carezzare poco, e dare assai.
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