Già usciva l’accusa, già sorgeva chi lo chiamava in giudizio; il popolo fremeva, e molti che avevano conosciuto quel vecchio dabbene, come lo chiamavano, lo deploravano morto così scelleramente. Ora udite che tiro fece quel furbo di Peregrino, e come si cavò netto di questo pericolo. Presentasi nell’adunanza dei Pariani con lunga chioma, con indosso un mantello sbrandellato, una bisaccia su la spalla, un bastone in mano, e così comparendo camuffato in modo da teatro, dice che tutte le sostanze rimastegli dalla buona memoria di suo padre, egli le lasciava al popolo. Come udì questo il popolo, che erano tutti povera gente ed usati ad aspettar con bocca aperta i donativi, tosto gridarono che egli era il vero filosofo, il vero amatore della patria, il vero seguace di Diogene e di Crate: ed ai suoi nemici scese la lingua in gola, e se qualcuno si fosse ardito di ricordare la morte del vecchio, saria stato lì per lì lapidato. Tornò dunque ad andare vagando alla ventura, avendo ogni aiuto dai Cristiani che lo servivano, e non lo facevano mancare di niente. Per alcun tempo così visse; ma dipoi avendo trasgredito qualche loro precetto (pensomi si facesse veder mangiare qualche cibo vietato), trovandosi piantato da essi, e sprovveduto, mutò il primo proposito, e pensò di ridomandare le sue sostanze alla patria; ne scrisse dimanda all’imperatore, sperando gli fossero rendute. I cittadini mandarono loro ambasciatori per questa faccenda: egli non ne cavò frutto, e fu deciso che la donazione era valida perchè era stata spontanea.
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