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      Dopo di questo fece un altro viaggio, ed andò in Egitto da Agatobalo, per addottorarsi in quella mirabile dottrina di portar la zucca mezzo rasa e la faccia lorda di mota, di farsi le seghe innanzi al popolo e dire che l’è una delle cose dette indifferenti, di battersi e farsi battere le natiche con una ferula, e di fare altre pazzie per destare ammirazione. Di là partissi benissimo instrutto in queste cose, e navigò per l’Italia; dove, come scese di nave, si sbracciò a dir male di tutti, massime dell’imperatore, che ei sapeva essere un uomo bonario ed umano; e però la sicurezza gli cresceva l’ardire. Il principe ragionevolmente si curava poco di queste maldicenze, e non voleva punire per parole uno vestito da filosofo, e che poi faceva l’arte di sparlare di tutti: egli più ne gonfiava e ringalluzziva, e gli sciocchi lo ammiravano. Infine il prefetto di Roma, che era uomo di senno, per le troppe trasmodanze lo cacciò via, dicendo, che la città non aveva bisogno di cotal filosofo. Ma questo appunto gli accrebbe la fama; e tutti ragionavano del filosofo scacciato per aver parlato troppo franco ed ardito: paragonavanlo a Musonio, a Dione, ad Epitteto, e ad altri che si trovarono in caso simile.
      Tornato così in Grecia, ora ingiuriava gli Elei, ora persuadeva i Greci a levar l’armi contro i Romani, ed ora lacerava un uomo ragguardevole per sapere e per dignità,(88) perchè, costui tra gli altri beneficii fatti alla Grecia, aveva condotta l’acqua in Olimpia, e ristorata la gran gente che quivi s’adunava e moriva di sete: ed ei diceva che costui infemminiva i Greci; che gli spettatori de’ giuochi olimpici debbono sopportare la sete, e crepare ancora delle malattie violente che per l’aridità della contrada vi sono frequentissime: e diceva questo mentr’ei si abbeverava di quell’acqua.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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