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      Tutti gli corsero addosso, e stavano per accopparlo; ma il prode uomo si rifuggì all’altare di Giove, e vi trovò uno scampo. Nell’olimpiade seguente venne ad isciorinare innanzi ai Greci una sua diceria sciocca, che era stato quattro anni a comporla, nella quale lodava colui che aveva condotta l’acqua, e scusava sè stesso di quella fuga. Intanto venuto in dispregio di tutti, che se ne erano stucchi nè più lo riguardavano come prima, non potendo inventar nulla di nuovo per far colpo e maraviglia, ed agitato da quell’antica smania di far parlare di sè, forma finalmente questo pazzo disegno di gettarsi in una pira ardente, e sparge voce tra i Greci che nella prossima olimpiade egli si brucerebbe vivo. Ed ora dicono che voglia effettuarla quella bravata, che già cavi una fossa, e la riempia di legna, e voglia mostrare come si muore da forte. Saria fortezza, pare a me, aspettare la morte, e non fuggire della vita. Ma se davvero ci vuol levare l’incomodo, non bisogna il fuoco, nè questo apparato da tragedia, ma un’altra maniera di morte, che ce ne ha più di mille. E se gli piace più il fuoco per imitare Ercole, perchè non se ne va tacitamente sovra una montagna boscosa, ed ivi non si brucia egli solo, o accompagnato da questo Teagene, che gli potria far da Filottete? Ma no, vuol farsi vedere in Olimpia, innanzi tanti spettatori, e quasi sovra un teatro. Pure sta bene che egli muoia del supplizio dei parricidi e degli empi; se non che pare che sia un po’ tardi, e che già l’avrian dovuto chiudere nel toro di Falaride, non lasciarlo affogar nella fiamma e morire in un attimo: perocchè questa morte nel fuoco mi dicono che sia prestissima, chè basta pure aprire la bocca, e subito si muore.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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