LXVIII.
I FUGGITIVI.
Apollo, Giove, la Filosofia, Ercole, Mercurio, alcuni Uomini, un Padrone, Orfeo, i Fuggitivi, un Ospite.
Apollo. È vero ciò che dicono, o padre, che uno si è gettato da sè nel fuoco pubblicamente alla festa di Olimpia, un vecchio che ha destata una maraviglia grande? La Luna me l’ha raccontato, dicendomi che l’ha veduto ella bruciare.
Giove. È verissimo, o Apollo: ed era meglio non fosse avvenuto.
Apollo. Era egli forse un vecchio dabbene, e non meritava di morire nel fuoco?
Giove. Eh, forse. Ma io mi ricordo il fastidio che m’ha dato quel fumo puzzolente che suole uscire dei corpi umani arrostiti. E se non me ne fossi scappato subito in Arabia così come mi trovavo, ti dico che io sarei morto per la sozzura di quel fumo. Eppure fra tanti odori, e tanta copia d’aromi, e tanto incenso, appena il naso voleva dimenticarsi e svezzarsi di quel puzzo: ed anche ora, per poco che me ne ricorda, mi viene la nausea.
Apollo. Per qual fine, o Giove, ei fece questo? o che bene è gettarsi nella pira a diventar carbone?
Giove. Questa dimanda, o figliuolo, prima che a lui avresti dovuto farla ad Empedocle, il quale si gettò nei crateri anch’egli in Sicilia.
Apollo. Una fiera malinconia fu quella: ma costui per qual cagione mai ebbe questa brama?
Giove. Ti dirò le proprie parole che egli disse all’adunanza per rendere ragione della sua morte. Disse adunque, se ben mi ricorda.... Ma chi è costei che viene frettolosa, tutta turbata e piangente, come se avesse ricevuto un oltraggio?
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