Fa’ conto che compirai la tredicesima fatica, se lo spazzerai di così sozze e sfacciate bestie.
Ercole. Saria meglio, o padre, tornare a spazzar le stalle d’Augia, che mettermi in questo impaccio. Pure andiamo.
La Filosofia. Non vorrei; ma è da ubbidire ai voleri del padre.
Mercurio. Discendiamo, acciocchè almeno pochi ne puniamo per oggi. Ma dove dobbiamo rivolgerci, o Filosofia? chè tu sai dove sono. O pure è certo che sono in Grecia?
La Filosofia. Non vi sono affatto, o pochissimi che filosofeggiano dirittamente, o Mercurio. Quelli non hanno che fare della povertà attica: dove si cava oro assai ed argento, quivi dobbiamo cercarli.
Mercurio. Dunque dobbiam andar diritto in Tracia.
Ercole. Sì, ed io vi sarò guida della via, chè conosco tutta la Tracia, per esserci stato spesso. Pigliamo per questa via.
Mercurio. Per quale?
Ercole. Vedete, o Mercurio, o Filosofia, quei due monti, i più grandi e i più belli fra tutti i monti? Il maggiore è l’Emo, l’altro dirimpetto, il Rodope: in mezzo si distende una pianura fertilissima, a piè de’ due monti, e in essa dolcemente si rilevano tre belle colline, che sono come tre cittadelle della sottoposta città. Ed ecco la città già apparisce.
Mercurio. Per Giove, o Ercole, è grande davvero e bella, e da lungi fa una splendida vista! E qual è quel gran fiume che ne rasenta le mura?
Ercole. È l’Ebro, e la città è opera di Filippo. Noi siam vicini alla terra, e stiamo ancor sulle nuvole: discendiamo col buono augurio.
Mercurio. Scendiamo. Ed ora che fare? come trovar la traccia di quelle belve?
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