Il maggior crucio nostro, la cosa che ci pare proprio insopportabile, o Saturno mio, è uno che sdraiato su la porpora sta sino alla gola tra dolcezze e morbidezze, corteggiato, riverito, sempre in feste; ed io ed altri pari miei strolaghiamo come guadagnar quattr’oboli per poterci, prima di andare a letto, satollare di pane o di polenta con un po’ di nasturzio o di timo per companatico, o una cipolla. Questa cosa, o Saturno, si ha da mutare; e o devi rifarci tutti eguali, o almeno comandare ai ricchi di non godere essi soli del bene che hanno, ma di tanti medinni d’oro sparnicciarne un sestiere sovra di noi; delle vesti darci quelle rose dalle tignuole: tant’è, se queste debbono perdersi e consumarsi pel tempo, è meglio darle a noi per ricoprircene, che accatastarle negli armadii e nelle ceste a muffire. Ciascuno di essi dovria convitare a tavola sua ora quattro ora cinque di noi riarsi, e non trattarci come si usa ora nei conviti, ma un po’ più alla pari, cioè parti eguali per tutti; non empirsi il sacco egli solo; il servo non restar impalato dietro a lui finchè egli non voglia più delle vivande, e poi venire a noi, e mostrarcelo solamente il piatto, e mentre vi stendiamo la mano, passa oltre, e ci lascia pochi bocconi di focaccia: e quando si serve la porchetta, non mettere innanzi al padrone una buona metà con la testa, e portare agli altri le ossa con un po’ di carniccio. Bisogneria raccomandare ai coppieri di non farsi chiamar sette volte quand’uno di noi chiede bere; ma come uno gliel’ha detto una volta, ei subito mescere, e presentare una tazza grande e colma, come al padrone.
| |
Saturno Saturno
|