E questi pensieri non sono neppure la minima parte dei loro affanni: se voi sapeste i timori e i crepacuori che hanno, la ricchezza vi parrebbe una disgrazia. E credi tu che io sarei stato sì balordo, se l’esser ricco e re fosse una bella cosa, da lasciarla e cederla ad altri, per rimanermene privato e sotto l’altrui soggezione? Ma perchè io conoscevo tutti quanti questi mali che di necessità stanno con la ricchezza e la signoria, io lasciai il regno, e me ne trovo contento. Tu ti lagnavi meco testè, che i ricchi si riempiono di cinghiali e di pasticci, e voi nei dì di festa non avete altro companatico che del timo, o un porro, o una cipolla: ma riflettivi un po’. Nel mangiarli, e questi cibi e quelli piacciono, e forse non sono molesti; ma dipoi la cosa va al rovescio. Voi non vi levate con una gravezza di testa la mattina, come essi dopo un’imbriacatura; nè per la troppa pienezza fate rutti e flati fetenti: essi stravizzano, passano le notti tra zanzeri baldracche ed altre sporcizie, e vedi frutto che raccolgono da queste sregolatezze, una tisi, una pulmonia, un’idropisia. Guardali in viso: puoi additarmene uno che non sia tutto giallo, e non paia un morto? uno che giunto alla vecchiaia cammini su i piedi suoi, e non si faccia portare da quattro persone; tutt’oro fuori, tutto cenci dentro, come le vesti da teatro rattoppate di tanti stracci? Voi non mangiate pesci, nè li gustate mai: e non vedete che voi non sofferite nè podagra, nè pulmonia, nè gli altri loro malanni? E poi essi non sentono più piacere a mangiare ogni giorno quelle squisitezze e li vedi che talvolta desiderano i legumi ed i porri più che tu i lepri ed i cinghiali.
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