Licino. È curiosità da fanciullo, o Filone, volere che io pubblichi e racconti fatti avvenuti nel vino e nell’ubbriachezza, che piuttosto si deve obbliarli e tenerli come opera di Bacco, il quale non so se lascia che alcuno non sia iniziato nelle suo orgie, e non si ubbriachi mai. Bada adunque che non sia da uomo maligno di voler sapere di queste cose, che conviene lasciar nel convito e dimenticarle. Odio, dice il poeta, un convivante che ha memoria. E Dionico non ha fatto bene a narrarle a Carino, e versare tutta la sgocciolatura dei bicchieri in capo ai filosofi. Per me, oh, io nol dirò mai.
Filone. Sì, fammi il ritroso, o Licino. Ma non dovresti farlo con me, perchè io so che hai più desiderio tu di parlare, che io di udirti: e credo che se tu non avessi chi t’ascolta, anderesti ad una colonna, ad una statua a svertare tutto ciò che hai in corpo. Se me ne vado ora, tu non mi lascerai partire senza di averti udito, mi tratterrai, mi seguiterai, mi pregherai: ma voglio fare anch’io del ritroso con te; e se poco poco non vuoi, anderò a dimandarne un altro: non dirmi niente tu.
Licino. Via, non andare in collera: ti conterò, giacchè così vuoi. Ma ve’, non dirlo a nessuno.
Filone. Se io non ho del tutto dimenticato chi è Licino, questo lo farai piuttosto tu: tu il primo lo dirai a tutti, e non sarà bisogno che ne parli io. Ma dimmi un po’, forse Aristeneto ha dato moglie al figliuolo, e v’ha convitati?
Licino. No: ma ha sposata la sua figliuola Cleantide al figliuol d’Eucrito l’usuriere, a quel giovane che studia filosofia.
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