Filone. Bel garzonetto, per Giove, ma troppo tenero, e non ancora da nozze.
Licino. Non poteva trovare un miglior partito, a creder mio. Pare un giovane modesto, studia filosofia, è figliuolo unico del ricco Eucrito: come non scegliere questo sposo?
Filone. La ragion vera è la ricchezza di Eucrito. Ma, o Licino, chi furono i convitati?
Licino. Come potrei dirteli tutti? Ma tra i filosofi e gli oratori, dei quali specialmente credo che vuoi udir parlare, v’era il vecchio Zenotemi lo stoico, e con lui Difilo, chiamato il Laberinto, maestro di Zenone figliuol d’Aristeneto: v’era il peripatetico Cleodemo, quel linguacciuto accattabrighe, chiamato dai suoi discepoli Spada e Falce. Ci venne ancora l’epicureo Ermone, e quando egli entrò, gli Stoici lo sguardarono biechi e torsero il viso come se avesser visto un parricida, un maladetto. Tutti questi erano stati convitati al banchetto come amici e familiari di Aristeneto; e con essi il grammatico Istieo, ed il retore Dionisodoro. Da parte poi dello sposo Cherea era stato invitato Iono il platonico, suo maestro, d’aspetto venerabile e quasi divino, e maestosissimo della persona. Molti lo chiamano Regola; avendo riguardo al suo diritto e regolato giudizio. Come egli entrò, tutti si rizzarono, lo accolsero come un gran capoccia, e fu proprio l’apparizione di un dio la venuta del mirabile Iono. Giunse l’ora di sedere a mensa, essendo quasi tutti venuti: a destra di chi entra tutti i letti furono occupati dalle donne, che non erano poche, e fra esse la sposa, tutta velata, e dalle donne attorniata: rimpetto la porta l’altra brigata, ciascuno secondo sua dignità. Di fronte alle donne stava Eucrito, appresso a lui Aristeneto.
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