Poi si disputò chi dovesse esser primo, se Zenotemi lo stoico, come più vecchio, o Ermone l’epicureo, come sacerdote dei Dioscuri, e della prima nobiltà del paese. Ma Zenotemi sciolse la quistione dicendo: Se tu, o Aristeneto, mi tieni secondo a costui, che è, per non dir altro, un epicureo, io me ne vo, e ti pianto con tutto il convito. E chiamato il servo fe’ sembiante d’andarsene. Ma Ermone disse: Abbiti pure il primo posto, o Zenotemi: eppure saria stata una buona creanza cedere il posto ad un sacerdote, per non dir altro, giacchè tu disprezzi Epicuro. Io sprezzo un sacerdote epicureo, disse Zenotemi, e si sedè: dopo di lui Ermone, poi Cleodemo il peripatetico, appresso Jono; dopo costui lo sposo, poi io; dopo di me Difilo, quindi il suo discepolo Zenone; infine il retore Dionisodoro, ed il grammatico Istieo.
Filone. Cappita, o Licino! fu un museo questo banchetto, pieno di tanti filosofi. Ed io lodo Aristeneto che celebrando una carissima festa, ha voluto convitare, invece di altre persone, gli uomini più sapienti, ha fatto un mazzo di fiori di ciascuna setta: non questi sì, quelli no, ma li ha mescolati tutti.
Licino. Ei non è un ricco come gli altri, o amico mio, ma s’intende di studi, e passa molto della vita sua fra tali uomini. Cominciammo adunque a desinare quetamente da prima: l’apparecchio era splendido e vario; e non bisogna ch’io t’annoveri le vivande, le salse, i confetti, i sanguinacci; chè tutto era a bizeffe. Intanto Cleodemo piegandosi verso Jono, gli disse: Ve’ questo vecchiardo (parlava di Zenotemi, ed io l’udivo) come diluvia, come s’ha imbrodata la veste, e quali bocconi fa sdrucciolare al servo che gli sta dietro, credendosi che nessuno lo veda, e scordandosi di chi sta dopo di lui.
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