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      Mostralo a Licino, acciocchè ne sia testimone. Io non avevo bisogno che Jono me lo mostrasse, chè stavo alla vedetta, e scorgevo tutto. Mentre Cleodemo così parlava, eccoti entrare il cinico Alcidamante non convitato, dicendo la barzelletta: Vien da sè Menelao. A molti questa parve una sconcezza, e gli gettavano motti; chi, Tu se’ pazzo, o Menelao; chi, Ma non piacque all’Atride Agamennone; ed altri frizzi a proposito, ma mezzo in aria e sottovoce, perchè tutti temevano Alcidamante, che con quel suo vocione è il più grande abbaiatore fra tutti i cinici; e però è tenuto un campione, e fa paura a tutti. Ma Aristeneto gli disse bravo, e lo invitò a prendersi una seggiola e sedere vicino ad Istieo e Dionisodoro. No, egli rispose, è femminile mollezza seder sovra seggiola o letto, come voi altri, che su questo soffice tappeto sdraiati quasi supini e sovra coperte di porpora banchettate. Io anche ritto in piedi cenerò, e camminando per la sala: e se sarò stracco, stenderò a terra il mantello, e mi vi poggerò sul gomito, come dipingono Ercole. - Fa’ come t’aggrada, disse Aristeneto. Ed allora Alcidamante si messe a girare attorno e mangiare, tramutandosi come gli Sciti nei pascoli più abbondanti, e ronzando vicino ai servi che portavano in giro le vivande. E mentre insacccava, era tutto inteso a gracchiare della virtù e del vizio, facevasi beffe dell’oro e dell’argento, e voltosi ad Aristeneto, dimandavagli: A che servono tali e tante coppe, se poche e di creta son buone allo stesso uso?


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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