Ma con te solo io credo di dovermi giustamente sdegnare perchè da tanto tempo ti fo continue carezze, e tu non ti degni di annoverarmi tra gli altri amici tuoi, ed io solo non ho parte in questa festa, benchè ti sia vicino di casa. Mi dispiace non altro che l’ingratitudine tua; chè per me io non ripongo la felicità mia in un pezzo di cinghiale, di lepre, o di schiacciata, perchè di queste cose io posso tormene le satolle in casa di quelli che conoscono la buona creanza. Ed oggi stesso il mio discepolo Parmeno fa un convito sfarzoso, io poteva andarvi, ei me ne ha pregato, ed io no; lo sciocco che sono stato a serbarmi per te. Tu m’hai lasciato in secco, e fai banchetto con gli altri. Hai ragione; tu non puoi discernere il meglio, e non hai la fantasia comprensiva. Ma io so donde mi viene la bolzonata, da cotesti tuoi mirabili filosofi, Zenotemi e il Laberinto, ai quali, non dico per vanto, con un solo sillogismo turerei la bocca. Che mi dicano solamente: che cosa è filosofia? o pure una cosa da principiante: in che differisce l’abito dall’abitudine? non parlo di cose più difficili, come a dire del Cornuto, del Sorite, del Mietitore. Divertiti pure con essi. Io per me siccome credo che il solo onesto è bello, così sopporterò questa ingiuria. Eppure per non farti trovare scuse, e dire che in tanta confusione, in tante faccende t’eri scordato di me, due volte oggi t’ho salutato, stamane quando eri sull’uscio di casa, e poi quando sacrificavi nel tempio dei Dioscuri. T’ho detto questo per discolparmi innanzi a chi ode.
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