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      Ed io credetti che Aristeneto non lo trascurò per dimenticanza, ma perchè non avria mai pensato che egli avesse accettato l’invito, e si fosse abbassato fino a tanto: onde non s’era attentato neppur di parlargliene.
      Poichè dunque il servo finì di leggere, tutti i convivanti volsero gli occhi a Zenone e Difilo, i quali pallidi e smarriti davano qualche apparenza di vero alle accuse di Etimoclete. Aristeneto era tutto turbato e sossopra: pure c’invitava a bere, e sforzavasi di riparare all’accaduto facendo un cotal suo sorriso: licenziò il servo, dicendo, bene, risponderebbe dipoi. Di lì a poco Zenone si levò di tavola pianamente, perchè il pedagogo gli fe’ cenno di ritirarsi come per comando del padre.
      Ma Cleodemo che da molto cercava un’occasione per attaccarla con gli Stoici, e moriva della voglia di trovare un appiccagnolo, afferrò questo della lettera, e disse: «Ecco che ti menano il buon Crisippo, il mirabile Zenone, e Cleante! paroluzze magre, interrogazioncelle, maschere di filosofi, e quasi tutti come Etimoclete. Poh! vedete lettera degna di un vecchio senno! E poi Aristeneto è Oineo, ed Etimoclete è Diana. Che galanterie da nozze!» - Per Giove, rispose Ermone che stava assiso un po’ più su; i’ credo che ha saputo che Aristeneto ha fatto apparecchiare un cinghiale pel convito, e gli è sembrato il caso di parlar di quello di Caledonia. Deh, per Vesta, mandagliene subito un bel tocco, o Aristeneto, affinchè il povero vecchio non isquagli per fame come Meleagro: benchè non ci saria male, e saria, come dice Crisippo, una cosa indifferente.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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