Però come t’ho detto ho bisogno di passeggiare un po’. Ma prima vengo a salutare costui. (E con la mano additava Omero: sapete certamente quella statua, che sta a destra nel tempio dei Tolomei, coi capelli lunghi.) Vengo adunque a salutarlo, e pregarlo di concedermi larga vena di versi.
Licino. Se fosse per preghiere, risposi, da un pezzo vorrei anch’io importunar Demostene di aiutarmi un po’ nel natale suo. Se dunque bastasse il pregare, io mi unirei teco: santi ci sono per tutti.(117)
Tersagora. Io per me, diss’egli, la vena con cui ho poetato stanotte e stamane debbo ascriverla ad Omero. Ci ho avuto un estro divino: ne giudicherai tu stesso. Chè a posta ho portato meco questo scritto, se scontravo qualche amico sfaccendato. E credo che tu sia quello, e non abbi nulla da fare.
Licino. Ti sei assicurato tu, gli risposi, ed ora fai come colui che aveva vinta la corsa lunga, il quale spolveratosi, e godendosi il resto dello spettacolo, voleva chiacchierare con un lottatore che stava per essere chiamato alla lotta. E quei gli disse: Quando eri tu alla sbarra non chiacchieravi. Così mi sembri tu che vincitore nella carriera poetica, ti vuoi divertire con un pover uomo che teme il cimento dello stadio.
Tersagora. Ed ei ridendo: Come se tu dovessi fare un’opera delle più difficili!
Licino. Forse, diss’io, a te pare che Demostene in paragone di Omero sia piccolo argomento d’un discorso. Ora vai superbo che tu hai lodato Omero; e per me Demostene è piccola cosa e niente?
Tersagora.
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