Così anche tu, credo io, devi saltare qua e là, non sapendo a quale cosa fermarti in mezzo a tante che ti attirano, l’ingegno grande, l’impeto focoso, la temperanza della vita, il nerbo dell’eloquenza, la fortezza nelle azioni, il disprezzare molti e grandi guadagni, la giustizia, l’umanità, la fede, la prudenza, il senno, e ciascuna delle molte e grandi sue imprese politiche. Forse dunque vedendo di qui decreti, ambascerie, concioni, leggi, e di qui spedizioni, Eubea, Megara, la Beozia, Chio, Rodi, l’Ellesponto, Bisanzio, non hai dove volger la mente, essendo confuso in tanta abbondanza di ottimo. Come Pindaro rivolgendo a molti subietti la mente, dubitava dicendo:
Ismene, o Melia dal pennecchio d’oro,
O Cadmo, o degli Sparti il popol sacro,
O Tebe dalla cerchia nereggiante,
O la forza audacissima d’Alcide,
O pure il rallegrante onor di Bacco,
O della bianchibracciaArmonia le nozze inneggeremo?(133)
Così anche tu pare che dubiti, se la parola, o la vita, o l’eloquenza, o la filosofia, o l’arte di guidare il popolo, o la morte di quest’uomo devi inneggiare. Non v’è modo alcuno per guardarti dal divagare: ma a qualunque di queste cose tu ti appigli, per esempio alla sola eloquenza, puoi farne argomento del tuo discorso. Non ti basta neppure se la paragoni a quella di Pericle. Di costui sappiamo per fama che fulminava, tonava e lasciava nell’anima il pungiglione della persuasione; ma non leggiamo la sua eloquenza, segno che oltre di quella appariscenza non aveva niente di solido, e che potesse durare alla pruova ed al giudizio del tempo: e quella di Demostene.
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