Antipatro. Che dici? Tu parli per enimmi, o Archia. Lo pigliaste vivo, e non l’avete?
Archia. Il tuo primo comando non fu di non adoperare la forza? Benchè neanche la forza saria stata niente. Infatti ci preparammo a fargliela.
Antipatro. Faceste male anche a prepararvi; chè forse egli morì per la vostra violenza.
Archia. Noi non lo uccidemmo; ma non persuadendolo ci era necessario adoperar la forza. Ma tu, o re, che ne vorresti fare, se fosse venuto vivo? Certamente niente altro che ucciderlo.
Antipatro. Adagio, o Archia. Mi pare che tu non hai capito nè chi era Demostene, nè la mia intenzione: e credi sia la stessa cosa trovare Demostene e cercare quegli sciagurati Imereo di Falero, Aristonico di Maratona, ed Eucrate del Pireo, simili a precipitosi torrenti, uomini abbietti, che si levano nei momentanei tumulti, e si gonfiano ad ogni piccola speranza di turbamento, ed indi a poco cadono e vaniscono come i venticelli della sera: e quel perfido Iperide, quell’amico no, ma adulatore del popolo, quello che non si vergognò per adulare la plebe di calunniare Demostene, e farsi ministro di ribalderie, delle quali si pentirono quegli stessi, cui egli aveva compiaciuto. Infatti poco appresso a quella calunnia noi udimmo che Demostene fece un ritorno in patria più splendido di quello di Alcibiade. Ma quel tristo non si arrestò, nè si vergognò di usare contro uomini già suoi amicissimi quella lingua che per le sue tristizie gli doveva essere tagliata.(136)
Archia. Ma come? Tra i nemici nostri non era nimicissimo Demostene?
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