» Queste cose mi disse allora, e spesso mi ripeteva Filippo, tenendo per un favore di fortuna che non comandava eserciti Demostene: i cui discorsi come arieti e catapulte spinti da Atene scrollavano e rovesciavano i suoi disegni. E intorno alla giornata di Cheronea, neppur dopo la vittoria egli rifiniva di dire a noi in quanto pericolo ci aveva messo quest’uomo. «Benchè non contro la nostra aspettazione,(139) e per malvagità dei capitani, e per contumacia dei soldati, e per inopinato colpo della fortuna che in molte imprese ci aiutò, noi vincemmo; pure in quella sola giornata ei mi messe a pericolo di perdere il regno ed il capo, avendo unite insieme le città più poderose, raccolte tutte le forze greche, tirati a mettersi in quel cimento gli Ateniesi, i Tebani, gli altri Beoti, i Corinti, gli Eubeesi, i Megaresi, ed il fiore della Grecia, ed avendomi impedito di penetrare nell’Attica.» Questi erano i discorsi che ei continuamente faceva di Demostene. Gli dicevano alcuni che egli aveva un grande avversario nel popolo ateniese. Avversario mio è il solo Demostene, rispondeva; gli Ateniesi senza Demostene sono Eniani e Tessali. E quando mandava ambasciatori ad una città, e gli Ateniesi gli mandavano contro altri de’ loro oratori, in quell’ambasciata ei prevaleva: ma se v’era Demostene, ei diceva: «Ambasceria fallita: chè contro i discorsi di Demostene non si riporta vittoria.» Così Filippo: e noi che siamo in tutto da meno di lui,(140) se noi avessimo preso un tale nome, che credi tu, o Archia? che l’avremmo menato qual bue al macello? o piuttosto l’avremmo fatto nostro consigliero nelle faccende della Grecia e di tutto il regno?
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