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      Antipatro. Così è, o Archia: e che gli avrei potuto dire? Ma come morì?
      Archia. Forse anche di più, o re, l’ammirerai; perchè noi stessi che lo vedemmo, eravamo come quelli che vedono stupiti o non credono.(142) Pare che da lungo tempo era così deliberato del suo ultimo giorno: e lo dimostra l’apparecchio che aveva fatto. Stava adunque dentro il tempio, e noi invano nei giorni innanzi ci avevamo spese le parole.
      Antipatro. E che gli dicevate?
      Archia. Gli offerivo molte e grandi cortesie, gli promettevo la tua clemenza, non perchè me l’aspettassi, chè non sapevo tutto questo, e credevo che tu per ira lo volessi avere in mano; ma perchè mi pareva cosa utile a persuaderlo.
      Antipatro. Ed ei come rispondeva a coteste parole? Non nascondermi nulla; chè io avrei proprio voluto esservi presente per udirlo con le orecchie mie. Contami tutto minutamente: chè non è piccola cosa conoscere il contegno d’un uomo generoso sul finir della vita, se si abbassò e fiaccò, o fino all’ultimo serbò costante l’alterezza dell’animo.
      Archia. Non si sommesse egli. Altro! Anzi sorridendo e motteggiandomi su la mia vita passata, disse che io ero un cattivo commediante a rappresentar le tue farse.
      Antipatro. Dunque perchè diffidò delle promesse lasciò la vita?
      Archia. No; se udirai il resto, non ti parrà che solamente diffidò. Ma giacchè tu mi comandi, o re, io tel dico. Disse: I Macedoni sempre fecero delle parole fango; e non è maraviglia se prendono Demostene, come presero Anfipoli, e Olinto, e Oropo. E molte altre cose di queste diceva: ed io commessi ad alcuni di scrivere le sue parole per recartele.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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