Oh se mi fosse lecito di rivedere un poco anche i conti tuoi! direi due parole anche a te.
Giove. A me? lecitissimo. Forse m’accuserai che ci son forestiero anch’io?
Momo. In Creta dicono non solo questo di te, ma altre cose, e mostrano la tua tomba: ma io non ho creduto mai nè ai Cretesi, nè agli Egiesi d’Acaia i quali spacciano che tu sei un supposito. I conti che voglio fare con te son questi. La prima origine di tutti questi sconci, la cagione per la quale s’è imbastardito il nostro concilio, sei tu, o Giove, che hai fatta comunella con le donne mortali, e per mescolarti con esse, discendi giù or sotto una forma or sotto un’altra: e ci hai fatto stare in pensiero che qualcuno non ti avesse preso quando eri toro, e non ti avesse sacrificato; o che quand’eri oro un orefice non t’avesse squagliato e lavorato; e invece di Giove tu ci fossi divenuto una collana, una smaniglia, o un orecchino. E così tu hai riempito il cielo di questi mezzi-dei, che io non so come chiamarli altramente. Ma la cosa più ridicola è quando uno ode un tratto che Ercole è stato fatto iddio, ed Euristeo, che lo comandava a bacchetta, è morto; e che son vicini il tempio d’Ercole che fu servo, e la tomba d’Euristeo che fu padrone. E così in Tebe Bacco è Dio; ed i suoi cugini Penteo, Atteone e Learco sono i più disgraziati fra gli uomini. Da che tu, o Giove, hai aperte le porte del cielo a costoro, e ti sei divertito con le donne, tutti han preso esempio da te, e si son divertiti non pure gl’iddii maschi, ma per maggior vergogna anche le dee.
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