Momo. Sì davvero, o Giove, dobbiamo essere iniziati per sapere che gli Dei son Dei, e i cinocefali son cinocefali.
Giove. Lascia stare, ti dico, le cose degli Egizii: ne discorreremo un’altra volta a nostro agio. Parla degli altri.
Momo. Sì, di Trofonio, o Giove: ma colui che non posso proprio patire è Amfiloco, il quale essendo figliuolo di scelleratissimo matricida, rende oracoli in Cilicia, infinocchiando la gente, e vendendo sue bugie a due oboli l’una. O Apollo mio, tu non conti più: chè già ogni pietra, ed ogni ara dà responsi, purchè sia unta d’olio, ed abbia qualche corona di fiori, ed un impostore che si spacci profeta; e ce ne ha tanti! Già la statua dell’atleta Polidamante in Olimpia, e quella di Teagene in Taso guariscon dalla febbre: in Ilio si sacrifica ad Ettore, e a Protesilao nel Chersoneso dirimpetto. Dacchè noi ci siam tanto moltiplicati, gli uomini hanno moltiplicati gli spergiuri e i sacrilegii, non ci curano più un fico, e fanno bene. E basti di questi bastardi imbrancati tra noi. Ma io odo ancora molti strani nomi di tali che non sono tra noi, e che non possono affatto sussistere, e ben me ne rido, o Giove. Chè dov’è la Virtù, di che si fa un tanto parlare, e la Natura, ed il Fato, e la Fortuna, nomi di cose insussistenti, vuoti di senso, inventati da quelle zucche che si dicon filosofi? E benchè le son parole uscite a caso, pure sono tanto entrate in capo agli sciocchi, che non c’è più un cane che ci faccia sacrifizii, essendo persuaso che quand’anche ci offerisse mille ecatombi, la Fortuna farà sempre quel che è fatato e filato a ciascuno fin da principio.
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