Hai forse veduto Cerbero cane, o Ecate uscita dell’Orco, o ti sei a posta scontrato in qualche iddio? Tu non saresti mai così, se anche avessi udito che si sommerge il mondo, come al tempo di Deucalione. A te dico, o buon Crizia: non mi odi che ti chiamo da un pezzo, e ti sto vicino? Sei in iscrezio con me? o sei insordito? o vuoi che io ti pigli con la mano e ti scuota?
Crizia. O Triefonte, ho udito un grande e strano discorso, e in molte guise ravviluppato. Ancora ripenso a quelle chiacchiere e mi turo le orecchie, per non udirne mai più, chè mi farebbero ammattire, ed agghiacciare, e diventar favola ai poeti, come Niobe una volta. Sarei andato a precipitar da una rupe pel capogiro, se tu, caro mio, non mi avessi chiamato; e si saria contato di me il salto di Cleombroto d’Ambracia.(148)
Triefonte. Oh, che grandi maraviglie ha dovuto vedere o udire Crizia, se n’è tanto colpito! eppure quanti invasati poeti, e quanti prodigiosi ragionamenti di filosofi non ti fecero colpo nella mente, ma furono tutti una ciancia per te!
Crizia. Cessa un po’, o Triefonte, e non più molestarmi; e io ti avrò caro e ti vorrò bene.
Triefonte. So che vai mulinando non piccola nè spregevole cosa, anzi una delle più arcane. Chè quel tuo colorito, quel far l’occhio del porco, quel non trovar loco, e andare su e giù lo danno a divedere chiaramente. Ma via ripiglia un po’ di fiato, vomita quelle chiacchiere, chè non t’abbia a venir qualche malanno!
Crizia. Scostati un miglio da me, o Triefonte, acciocchè lo spirito non ti levi in alto, e tu non paia al popolo che vai per aria, e poi cascando nel mare non lo faccia chiamare Triefonteo, come già avvenne ad Icaro.
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