Crizia. Oh, per l’etereo Giove, questo non t’avverrà.
Triefonte. Ora mi fai mettere più paura che hai giurato per Giove. Come potrà punirti, se tu spergiuri? Tu sai a che è ridotto il tuo Giove.
Crizia. Che dici? Non potrà Giove sprofondare uno nel Tartaro? o ignori tu che egli scacciò tutti gli Dei dalla magion celeste;(151) e che Salmoneo, il quale una volta ardì di tonare, egli lo sfolgorò, come fa anch’oggi sovra i ribaldi; ond’è che dai poeti è chiamato Doma-Titani, e Stermina-Giganti, specialmente da Omero?
Triefonte. Tu, o Crizia, hai toccato tutte le valenterie di Giove, ma se non ti spiace, odi qualch’altra cosa. Non divenne costui cigno e satiro per lascivia, anzi anche toro? e se con quella sgualdrinella sul dorso non si fosse fuggito subito per mare, forse qualche villano avria afferrato per le corna e fatto arare il tuo Giove tonante e fulminante, che invece di fulminare sarebbe stato pungolato col pungitoio. E poi quel banchettare con gli Etiopi, uomini neri e con la faccia oscura, e per dodici giorni bevi e ribevi con loro, un dio con tanto di barba, non è una vergogna? L’affare dell’aquila e dell’Ida, e quell’ingravidare in tutte le parti del corpo, sono cose che io arrossisco anche a dirle.
Crizia. Dunque, o caro, giurerem per Apollo, bravo profeta e medico?
Triefonte. Chi? quell’impostore, che già perdè Creso, e poi quei di Salamina, ed altri mille, dando risposte a due manichi?
Crizia. Vuoi Nettuno? egli tiene in mano il tridente, e nella battaglia manda un grido acuto e spaventevole quanto di nove o dieci mila combattenti, ed è chiamato ancora Scuotiterra.
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