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      Caridemo. Così fu, o Ermippo: ma non è facile per me contare ogni cosa a puntino. Non era possibile udire tutto in quel rumore che facevano e famigli e commensali: e poi è difficilissimo ricordarsi discorsi fatti in un convito, dove tu sai che i più memoriosi diventano smemorati. Nondimeno per amor tuo, secondo mio potere, tenterò di fartene un racconto, senza lasciar nulla di ciò che mi viene a mente.
      Ermippo. Ed io te ne ringrazio. Ma se mi conterai ogni cosa per filo, che libro fu quello che Androcle recitò, e cui egli vinse, chi foste i convitati, io te ne saprò più grado.
      Caridemo. Il libro era un encomio di Ercole, scritto da lui, come ei diceva, per un certo sogno che ei fece: e vinse Dietimo di Megara che gli contendeva il premio delle spighe, o piuttosto la gloria.
      Ermippo. E questi che recitò?
      Caridemo. Un encomio dei Dioscuri. Diceva che anch’egli era stato salvo da grandi pericoli per l’aiuto loro, e così egli li ringraziava: e che essi stessi lo avevan invitato a scrivere quando in una gran burrasca gli apparirono in cima agli alberi. I convitati poi erano molti, quali suoi congiunti, e quali amici; ma degni di menzione, perchè adornarono il convito e ragionarono della bellezza, erano Filone di Dinia, Aristippo di Agastene, e terzo io. Si aggiungeva a noi il bel Cleonimo, figliuolo d’un fratello di Androcle, garzonetto di delicata leggiadria; che pareva anche intelligente, perchè stava attentissimo a quei ragionari. Primo adunque Filone cominciò a parlare della bellezza facendo questo proemio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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