Caridemo. Deh, per gli Dei, non mi costringere ad andare più oltre. Ti basti ad informarti della nostra conversazione quello che testè ho detto; e poi neppure mi ricorda ciò che diss’io; perchè è più facile ricordare i detti altrui che i proprii.
Ermippo. Eppure questo era il punto cui da prima io desideravo giungere. Non tanto volevo udire i discorsi loro, quanto il tuo. Onde se mi priverai di questo, invano ti sarai affaticato per quelli. Via, per Mercurio, ripetimi tutto quel ragionare, come mi hai promesso da principio.
Caridemo. Sarebbe meglio che ti contentassi di questi, e mi togliessi d’impaccio. Ma giacchè brami tanto di udire anche il mio, bisogna compiacertene. Così dunque io ragionai:
Se cominciavo a parlar della bellezza io primo, forse potevo aver bisogno di lungo proemio; ma perchè vengo a discorrerne dopo altri discorsi, non sarà strano che io servendomi di essi come di proemio al mio, entri senz’altro a ragionare: tanto più che quei discorsi non sono stati fatti in altro luogo, ma qui, ed oggi stesso, sicchè tutti i presenti sanno bene che ciascuno non fa un discorso particolare, ma tutti uno solo, di cui ciascuno tratta una parte. Per lodare altro sarebbero state bastanti le cose che ciascuno di voi ha detto della bellezza; ma per lodare questa ce n’è tanta abbondanza di cose, che anche i posteri, oltre quelle dette ora, non mancheranno di trovarne in sua lode. Moltissime da ogni parte si presentano, e ciascuna vorrebbe esser detta prima, come fiori in rigoglioso prato, che sempre compariscono de’ nuovi e invitano a coglierli.
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Mercurio
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