Uscendo del padiglione cantò un inno ad Anfitrite ed a Nettuno, ed una breve canzone a Melicerta e Leucotoe. Poi essendogli porta una zappa d’oro dal Governatore di Grecia, s’avvicinò alla fossa tra plausi e canti, e dati forse un tre colpi in terra, impose ai commessarii dell’opera di farla seguitare gagliardamente, e se ne tornò a Corinto, stimando di avere superate tutte le fatiche di Ercole. I prigioni lavoravano ai luoghi difficili e montuosi, i soldati su la terra piana. Dopo sette o forse cinque giorni che eravamo applicati all’istmo, scese da Corinto una voce sorda, che Nerone aveva mutato pensiero. Dicevasi che gli Egiziani, avendo misurato l’un mare e l’altro, non l’avevano trovato d’uno stesso livello, ma credevano che quello di Livadia fosse più alto, e temevano per Egina, chè riversandosi tanto mare intorno a quell’isola, non sommergesse Egina. Ma Nerone non si saria tolto dal taglio dell’istmo neppure se gliel’avesse detto Talete con tutta la fisica e la sapienza che aveva, perchè egli era più pazzo di cavare, che di cantare in pubblico. Intanto un movimento dei popoli d’occidente, ed un uomo arditissimo che ora se ne è fatto capo, e si chiama Vindice, ha tratto di Grecia e dell’Istmo Nerone, che per iscusa metteva innanzi quistioni di geometria: chè io so che i mari sono tutti allo stesso livello e allo stesso piano. Già si dice che la sua potenza in Roma sia su lo sdrucciolo, e per cadere. Voi stessi udiste questo dal tribuno che qui ieri approdò.
Menecrate. E la voce, o Musonio, per la quale il tiranno va pazzo della musica, ed ama i giuochi Olimpici ed i Pitii, come l’ha egli?
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