O Siculo vallone sprofondatoSino al mar, dove riversasi e ondeggia
Lava di foco, e tra squarciate rupiVassene obbliquamente fluttuando.
O morte, cui nessun previde mai,
Come ti carezziamo tutti invano,
Da una vana speranza lusingati!
CORO.
Di Cibele sul Dindimo
Con furenti ululatiAl gentil Atte fanno festa i Frigi.
Ed al suono del cornoAppiè del Frigio Tmolo
Tra festeggianti gridiVan banchettando i Lidi.
Impazzando coi timpaniI Coribanti in Creta
Cantano l’evoè.
Squillando l’aspra trombaAl rovinoso Marte
Suona di guerra il grido.
E te, o Podagra, noiAl primo intiepidir di primavera,
Festeggiam con lamenti;
Quando infioransi i pratiDi tenere erbe verdi,
E di zeffiro ai fiatiOgni alber s’incappella
Di sua fronda novella;
E la rondine memoreDi sue nozze infelici
Si va lagnando intornoAlle case degli uomini;
E nella selva allor che muore il giornoPiange Iti, Iti figliuolo,
Il mesto rosignuolo.
PODAGROSO.
O sostegno nei miei mali, o bastone,
Che le veci mi fai di terzo piede,
Reggi il passo tremante, e drizza il calle,
Acciò ferma sul suolo l’orma io posi.
Leva, o infelice, dal letto le membra,
E lascia stanze e logge chiuse. SgombraDagli occhi questo grave aere notturno,
Vieni alla porta, ed al lume del soleRespira un poco d’aria pura e allegra.
È questo il giorno quindicesmo ch’ioIn tenebre rinchiuso, senza sole,
In letto non rifatto ho stanco il corpo.
L’animo l’ho, ed il desio mi spingeDi scambiare due passi inver la porta,
Ma al desio non risponde il corpo fievole.
Pure spingiti, animo: tu sai
Che un miser podagroso camminare
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