CORO.
Non sangue vivo ci caviam col ferro;
Non portiam capei lunghi e collo torto,
Non con sonante disciplina il dorsoCi flagelliam; nè lacerate e crude
Carni di toro sono nostro cibo:
Ma quando l’olmo a primavera metteIl gentil fiore, e il merlo chiacchierone
Va cantando su i rami, allor nei membriSi figge agl’iniziati doglia acuta,
Latente, che entra sin nelle midolla;
Piè, ginocchio, tallon, piante, anche, cosce,
Mani, gomito, braccia, omero, polsiMangia, divora, brucia, infiamma, ammacca,
Finchè la Dea fuggir non faccia il morbo.
PODAGROSO.
Ed io son un degli iniziati anch’io,
E nol sapea? Dunque benigna vieni,
E Dea ti mostra; chè io co’ tuoi devotiComincerò de’ podagrosi il canto.
CORO.
Taccian nell’aria i venti,
Ed ogni podagrosoRaffreni i suoi lamenti.
Ecco la Dea che ama di stare a letto,
Presso l’orchestra vieneE col bastone i suoi passi sostiene.
O la più mansuetaDegl’immortali, salve.
Vieni con faccia lietaAi servi tuoi benigna, e presto fine
Metti ai loro doloriNel dolce tempo che nascono i fiori.
I.A PODAGRA.
Io, l’invitta regina dei dolori,
Io la Podagra, a chi non sono io nota,
Fra i mortali che vivon su la terra,
Che non mi placo per fumo d’incensi,
Nè per sangue versato presso l’are,
Nè per voti sospesi in ricco tempio?
Non mi può vincer Febo coi suoi farmaci,
E di tutti gli dei del cielo è il medico;
Nè il dottissimo suo figlio Esculapio.
Eppure da che è nata questa umanaGenia, tentano tutti rovesciare
La possa mia, mescendo e componendoSempre artefatti farmaci. Ciascuno
Contro me sperimenta il suo trovato.
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Dea Dea Dea Podagra Febo Esculapio
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