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      E però, miserabili, ci avretePoco diletto a sofferir la pena
      Che per le opere vostre meritate.
     
      MEDICO.
      Siamo di Siria, ed in Damasco nati.
      Da molta fame e povertà costrettiAndiam vagando per terra e per mare.
      Abbiamo questo unguento, che lasciatoNe fu da un nostro padre, e noi con esso
      Risaniamo i dolori degl’infermi.
     
      PODAGRA.
      Che unguento è quello, e di che fatto? parla.
     
      MEDICO.
      Parlar non mi permette un giuramentoSacro ch’io feci, e l’ultimo comando
      Del moribondo padre, il qual n’imposeDi celar questa gran virtù di farmaco
      Che sa ammansire anche la tua fierezza.
     
      PODAGRA.
      Eh, via, sozzi ribaldi: ed evvi in terraFarmaco di virtù tanta che valga
      Spalmato far cessar la furia mia?
      Orsù, pure facciamola esta pruova,
      E vediam se del farmaco la possaSia più gagliarda, o pure le mie fiamme.
      Qui venite, volate d’ogni parte,
      Spasimi tormentosi, che compagniSiete ai furori miei, fatevi presso.
      Infiamma tu dalla noce del piedeSino alla punta delle dita, e tu
      Ficcati nei malleoli; e tu dal capoDel femore al ginocchio spandi piena
      Degli umor l’acrimonia: e poi voi altriDelle mani le dita distorcete.
     
      DOLORI.
      Ecco, come imponesti, tutto è fatto:
      Giaccion gridando i miseri a gran voci,
      Presi in tutte le membra e straziati.
     
      PODAGRA.
      Su, forestieri, ora saprem davveroSe questo vostro unguento a nulla giova:
      Che se questo davvero a me resiste,
      Io lasciando la terra andrò a celarmi,
      A sprofondarmi nei più cupi abissi,
      Nella più scura tenebra del Tartaro.
     
      MEDICO.
      Ecco, ungemmo; e lo spasimo non cede.
     
      PODAGROSO.
      Ahi, ahi, ahimè, son disfatto, son morto!


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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