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      VELOCIPEDE.
      Fa pur, se ci hai qualche spediente buonoA tormi tosto un così fiero spasimo.
     
      MEDICO.
      Ecco, io porto un forbito gammautte,
      Tagliente, nuovo, mezzo curvo.
     
      VELOCIPEDE.
      Ahi, ahi!
     
      BALIO.
      Che fai, o Salvator? Tu non lo salvi,
      E vuoi col ferro accrescere la doglia?
      Senza saperlo, tu gli storpi i piedi;
      Chè quanto ti ha contato è una bugia.
      Non alla lotta o al corso, come ei conta,
      Fu percosso: ma il ver te lo dico io.
      Dunque egli in casa è ritornato sano,
      Ma mangiando a sproposito e beendoLo sciagurato, cade sovra il letto
      E solo vi rimane addormentato.
      Poi stanotte svegliandosi, gridavaCome fosse da un demone battuto,
      E ha fatto spiritarci. Ohimè, diceva,
      Donde mi vien questa sventura? forseQualche demone m’ha storpiato il piede.
      E così tutta notte sovra il lettoSeduto e solo, un continuo lamento
      Ha fatto per quel piede. Quando il galloAnnunziava il giorno, è uscito fuori
      Attenendosi a me con man che ardeaPer febbre, lamentandosi, piangendo,
      E appoggiandosi a me. Quel che ti disse
      È tutto falso; ei la brutta radiceDel suo male nasconde nel mistero.
     
      VELOCIPEDE.
      Il vecchio è sempre di parole armato,
      Si vanta di far tutto, e non può nulla.
      Un ammalato che mentisce è comeUn affamato che mastica gomma.
     
      MEDICO.
      Tante e tante ne conti che c’imbrogli.
      Dici aver male, ma qual’è non dici.
     
      VELOCIPEDE.
      Come narrarti il mio dolente caso?
      Soffrendo, altro non so, se non ch’io soffro.
     
      MEDICO.
      Quand’un senza motivo ha male a un piede,
      Inventa poi le ciance che egli vuole,
      Sapendo bene che brutto malannoAppiccoglisi addosso.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





Salvator