Da prima le ultime parole si leggevano scritte in quest’altro modo, to de drama tou bibliou; e gli interpetri hanno voluto correggerle, vi hanno messa una parentesi, hanno fatto ogni cosa per cavarne un sentimento, che non hanno potuto cavare netto e chiaro. Io lasciando l’antica lezione, e togliendo la parentesi, e trasponendo sola una virgola, leggo diversamente, e credo di cavarne il senso che è nella traduzione. Leggo adunque così; To men oun biblion, tout'esti de ton ypomnematon to prosekon emin meros, to de drama tou bibliou, phesi ec. E se dovessi torne qualcosa, sarei col Guyeto al quale quel to drama tou bibliou, insititium videtur. Vorrei meglio tradurre la parte drammatica del libro.
136 Iperide ebbe tagliata o strappata la lingua per ordine di Antipatro. Accusò Demostene, e il fece andare in esilio. Si rappattumò con lui, e poi tornò ad accusarlo. Vedi Plutarco, Vita di Demostene.
137 Pitone di Bisanzio, eloquente oratore; del quale fanno menzione Demostene ed Eschine.
138 La dramma era pagata all’oratore in causa pubblica o privata; il triobolo al cittadino che giudicava una causa.
139 Me gar ei par’elpida, neque enim praeter spem. La negazione è necessaria, e credo che sbagli chi la leva. Plutarco, Vita di Demostene, dice che Filippo si vantava della battaglia di Cheronea, la quale riuscì non già praeter spem, ma secundum spem, o pure non praeter spem eius. Almeno così mi pare.
140 Io crederei doversi dire: E noi che non siamo in tutto da meno di lui, e leggerei ouk echontes, invece di an echontes: ma non ardisco di mutare niente.
| |
Guyeto Iperide Antipatro Demostene Plutarco Vita Demostene Pitone Bisanzio Demostene Eschine Vita Demostene Filippo Cheronea
|