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      Quanta baliosa indeterminatezza; quanta spavalda gioventù! Tizio, anche tu compiterai con me questa sdruscita pagella di giornale ed a stento mi riconoscerai nello stile; confessa che ho migliorato; ed, oggi, ho tanto rispetto dell'autentico da non farvi intervenire l'ortopedia della praticaccia di poi per farmi comparire migliore.
      Quale ingenuità, Tizio! Pretestare delli amori, invocare delle attenuanti e farla da giudice troppo assennato. Hai mai osservato come i primi versi, che di solito si scrivono colla penna maldestra in male d'ebefrenia, siano una quintessenza di morbido idealismo, un neo - platonismo zuccherato? - dà una guardatina al Libro delle Figurazioni Ideali -; che le prime proposizioni critiche de' giovanetti abbiano quel certo che di sostenuto, di agghindato, di severamente accondiscendente? il tono che raffinò in catedra Borgese. Di modo che tu scambi questi imberbi, col lattime sulla boccuccia, come de' personaggi posati e canuti; e, quando la loro virilità è completa, li accorgi essere giovanotti esuberanti. Tal quale capitò a me.
      Mi imbattei, faccia a faccia, con Gabriele D'Annunzio nel 1896, l'anno delle scoperte del Thovez: tutto il campo era a rumore; all'agguato delle rivelazioni, o pseudo-rivelazioni, invischiava ogni foglio, foglietto, fogliaccio; e la campagna di denigrazione, che voleva ricercare il valore-plagio nell'opera dell'abruzzese, si trasformava in suo puro vantaggio di réclame, perchè il suo nome, pur tinto di nero, ma a favore di questa tinta scandaloso, entrava anche nelle case, nei salotti, e nei cranii delli indifferenti a farvisi conoscere almeno come sonorità, a grafirvi le sue lettere, e con tale insistenza, da individualizzarvisi come facilità mnemonica.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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