) del plagio: molti sapevano, molti hanno taciuto. Suscitossi quindi una quisquilia letteraria. Letteraria?
Non vogliamo confondere la moralità delle Lettere colla Moralità. Certo credo, che, in assoluto, il D'Annunzio abbia mal fatto coll'appropriarsi opera altrui.
Ed allora, è scusabile? Se riguardiamo alli esempi passati, potremmo, a simiglianza di Pilato, farci apprestar il catino e l'acqua per l'abluzione: se riguardiamo all'autore moderno, noi ci dobbiamo un giudizio: «Egli si fece sua la roba che non potevagli appartenere». Pure, infirma la sentenza il valore del magico maestro della penna? Rimarrà egli? La sua fama è più tosto come colorista, come prezioso dicitore, come orafo cesellatore di periodi e di rime. Noi avemmo da lui un magistero d'arte quale, per ritrovarlo, è necessario assurgere alla rinascenza. D'Annunzio quindi per questo starà. Originale?. I contemporanei invidiosi, o da lui negletti, o da lui guardati troppo alteramente potranno negarlo. E pure noi riteniamo il Caro originale, se bene l'opere migliori da costui lasciateci, furono la traduzione dell'Eneide ed il rifacimento del Dafni e Cloe: aggiungasi che là tutto era sincerità ed egli aveva detto di tradurre, non di poetare dal nuovo. Ma se li a venire, in patria, avranno molto più cara e stimata l'opera d'annunziana e non si ricorderanno delle sue fonti, se non penseranno mai che furono scrittori dal nome di Verlaine, di De Banville, di Péladan, di Maeterlink, di Goncourt e dell'altri, (scovai un po' per ogni dove idee e frasi francesi-d'annunziane); l'autore nostro potrà essere anche, nella futura Storia Letteraria, riputato originale.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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