Di tutto che tu volessi assaggiare saresti stato avvelenato e quindi morto. E quest'altro era il pericolo del Superlativo. Fortuna mia che mi giovò la mia volontà a proibire; non la frigidezza, che non patisco, ma il ragionamento. - Letterariamente aveva compreso che il conformismo ed il superlativo si fondevano nella Retorica: cioè nella mancanza di personalità e di sincerità nell'opera d'arte e nella vita; e mi parve, e credo di non sbagliarmi - che appunto a rappresentare questa conglobata tendenza morbosa si postillasse in sulle gazzette, dai libri, dai teatri, Gabriele D'Annunzio.
Costui aveva tanto fatto e detto, con gesti e parole d'altri, che molti si erano abbassati a raggiungere, sotto il suo piccolo metro, il minimo comune denominatore letterario, mentre la loro schiettezza s'impaludava nel viscidume dell'acque limacciose e mareggiate di nafte e di olii iridescenti, tra le biscie cieche, le salamandre pezzate ed araldiche, i girini microcefali ed idropici, le rane schiamazzanti e cantatrici di batrace vacuità.
Stagno della Retorica! Se ne bevi, ne hai una certa ebrietà, un sollievo, un dimenticare; sì, qualche volta ci tenta, vorremmo beverne. Ma, subito, ce ne ritrae l'imagine sovvenuta alla memoria ed alli occhi del Duca di Clarence affogatosi in una botte di malvasia! Atroce supplizio! Asfissiarvisi prima d'aver raggiunta l'estasi della ubriacatura. Tal quale colla retorica.
Di notte, vagano spettri foggiati dai vapori della palude, animati dal soffio gabriellino, che spira grandezza, e fa d'ogni modesta casa comunale un Campidoglio; Iperbolismo.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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