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      Voi sapete anche come Lucini si sia scagliato sovente e violentemente contro il D'Annunzio, che, agli occhi del pubblico che non vuol faticare a studiare od è troppo frettoloso, è egualmente reo di creazione di voci nuove, di uso di voci dimenticate, di costruzioni poetiche personali ed originali. Notate come, per soprappeso, Lucini abbia l'aggravante, di fronte al pubblico misoneista - tutti siamo un po' misoneisti - di usare il verso libero, e dite se non riuscirebbe interessante il parallelo, alla nostra mente affacciatosi, tra questi due imaginifici della moderna poesia italiana. Qui accenniamo solamente di volo, pure affermando, che, per aver sottoposto al piccolo martello della disamina critica molti vocaboli a tutta prima ostici per la novità del suono, li abbiam trovati perfettamente resistenti ai colpi, e la loro composizione ed il loro suono ci parvero indicatissimi ad esprimere le cose ed i momenti psicologici per cui l'autore le usa. Sul D'Annunzio, in correlazione, non possiamo fare, mentre scriviamo, una saggiatura analoga; però il confronto sulle costruzioni generali di entrambi, e sulla intima ossatura della loro poesia, si delinea per noi assai evidente.
      «Ricchissimi, entrambi, di lingua italiana; e di conoscenza profonda delle letterature antiche e straniere, e di tutti gli accorgimenti letterari, l'uno il D'Annunzio, ha la capacità, la virtù, la disposizione a sviluppare, con le più svariate tinte, l'atomo di poesia ch'egli afferra nel suo intimo: lo ingrandisce, lo storce, lo piega, lo arrotonda, ne fa un arnese per la pace, per la guerra, per scudo alla virtù, al vizio, indifferente ed elegantissimamente.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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