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      Già, sorridi ancora.
      Tizio, ti leggo in faccia il desiderio di mortificarmi, la voluttà in sul nascere di dirmi forte a rampogna: «Hai la cornea delli occhi verde d'invidia(7); è solo per questo, che, pretestando dei motivi generali, una tua missione personale, ed un tuo millantato obbligo verso quelli che credono in te e ti si affidano, ti scagli contro colui che ti offusca, ti toglie, colla sua grande luce, dalli occhi dei contemporanei, in faccia a cui tu stimi competere, poverino! Confessa anche il tuo peccato di superbia».
      Confesserò altro, se ti pare, oltre la mia superbia; e, se tu sei in buona fede, converrai di avere sbagliato ancora. No, non sono invidioso di Gabriele D'Annunzio, quand'anche la sua fortuna superi i suoi meriti, i suoi successi lo ajutano a crescersi e a mantenersi la sua dissipazione. E prima di molti altri verrò a riconoscerne l'ingegno grande e l'attitudine maestrevole, nativa di occuparsi e di maneggiare tutto che si presta all'arte delle parole: ma la sua erudizione è d'imprestito, non ha fatto corpo colla sua emozione; ma egli ci dà quanto ha ruminato altrove, ed è solo originale nella meridionale caldura e salacità dei sentimenti e delle passioni: dà imagine lucida per espressa sua sensibilità; ma, dalla serie delle sue sensibilità, dalle sue imagini, non estrae un concetto vitale, una sintesi d'universalità: l'opera sua è una collezione di frammenti senza conclusione, perchè il suo cervello è incapace di creare delle verità e dei concetti nuovi.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





Gabriele D'Annunzio