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      Munito, adunque, di codeste facilità, presumendosi tal uomo genioso ed universale, creduto appunto dalli altri che subito si lasciarono uccellare dal suo apparato; l'industriale di poesia, sollecito, rispose al luogo comune del suo tempo, col luogo comune della sua lirica; si espose con Le Laudi. Gabriele d'Annunzio ha volto qui la sua preoccupazione al titolo delle sue distinte composizioni: ha creduto che il titolo e le grandi e ricche parole contenute nei versi bastassero a rendere eterni alcuni momenti transitorii e comunissimi dell'animo suo poetico, come dovessero illustrare la più plateale delle modernità col darle tono classico, o falsa ingenuità primitiva.
      Egli, che aveva sottoposto alla prova del minimo comun denominatore della propria e mal nutrita intelligenza - filosoficamente parlando - le cose ed i sentimenti di un eclettismo di maniera, racimolato nei verzieri e nelle arti della letteratura indo-europea, aveva pur creduto di essere suscettibile di donare una fusione omogenea, un timbro speciale e personale a tutti i suoi imprestiti, non onerosi ma violenti, sì che vi risultasse la maschera del Signore che viene. Aveva presunto troppo dalle sue forze; aggravò, col fatto, l'inutilità fondamentale della sua produzione, scegliendo, e, dall'una parte, dei soggetti che esorbitavano al nostro tempo ed alla sua competenza, quindi erano lontani dal nostro interesse: e, dall'altra, col prendere dalla vita moderna materia all'ispirazione nei fatti più caduchi e meno nobili, quelli, cioè, che si riferivano alla sua vita propria, stimolata e dal desiderio e dalla lussuria e dalla sua morbosa frigidità passionale, che, per aver pace, ricorre all'inversione.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





Le Laudi Annunzio