Sicchè un poeta; il quale, ricorrendo alla ambiguità dell'Androgino, là, pone la bellezza, non solo attesta la sua patologia fisica, ma la sua incapacità; però che non sa dire la bellezza più sana, che ha uno scopo ed una retta funzione, quella che attesta l'immortalità della specie umana, per essere la generosa, che, fecondata, produce, e, colle sue nuove creature, inesausta, raggiunge, dal finito, l'infinito.
Da tutto, D'Annunzio, senza saper scernere dove tributare la sua copiosa versabilità versajuola, fece o credè fare l'eternità; ma i soggetti disparati e spesse volte ignobili contagiarono della loro caduca decadenza questo onore del perenne, come le moltissime canaglie decorate de' molti ordini cavallereschi, passeggianti per la patria, infamano le insegne d'onore che son divenute il marchio di una viltà, di un ruffianesimo, di un reato felicemente eseguito in barba alle leggi e profittevole a coloro stessi cui le leggi amministrano. Il Pescarese non ha, nè poteva avere, fondamentalmente, il dono meraviglioso per cui si assicura al poema una significazione sul mondo unica e topica, per la quale è certa la immortalità, ossia la sequenza operante e fattiva del suo esempio e della sua influenza nell'avvenire. In lui, simile in ciò alli altri suoi colleghi dell'epoca, fu sempre morto l'Eterno poetico didimeo, senza del quale non può esistere, in Italia, ragione di lirica, soferenza di poema, divinità di poesia, a risposta del cittadino, dell'italiano, dell'uomo contemporaneo, fratello nostro, amico e nemico.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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