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      D'Annunzio aveva creduto, argomentando sull'esempio dei maestri passati, ch'egli conosce in superficie, di abbarbagliarci colla forma, di non illuminarci colle idee: cadde nei due eccessi contrarii, e, nella esagerata nomenclatura nobilissima per cose, fatti, sentimenti minimi per loro stessi trascurabili, quando non ignobili, e, nel ritentare i temi frusti e logori della grande poesia, senza una novissima ed originale forza di invenzione, ripetendo i luoghi comuni della prosodia, che i nostri maggiori avevano giā tutti perfetti e conchiusi.
      Donde Le Laudi furono una raccolta di poesie d'occasione, in cui il sonetto funerario si gomita colla ballata, scritta in onore di un quadro o di una amante; dove l'azzardo della vicinanza č voluto dalle assonanze capricciose, o da un viziato giro di pensiero; dove č nulla la concezione generale, per cui vive un poema, si determina una azione viva, si avvicendano ragioni e volontā, si esprimono originali psicologie; ma č tutto una certa sequenza melodica e monotona, un certo metodo mecanico e dialettico, una certa didattica verbosa e precisa, e per quanto preziosa e realistica, superficiale: dove, infine, nč la compattezza di una sintesi, nč la acuta misura di una analisi, nč l'erompere vaticinante della intuizione, fatta visione di prescienza, possono scusare le ineguaglianze, le disformitā, l'imparaticcio, la mole indigesta della accozzaglia, che di quell'opera vantata come un effettivo poema, fuso in una colata di bronzo unico e preziosissimo, fanno un centone secentesco, se non uguale, certo inferiore a L'Academia in Brenta di un faticoso Arcade operante, e meno nobile di le mariniste Zampogna e Galleria.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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