Ma tant'è: i nostri e suoi contemporanei, in sulle prime sviati, intontiti dal pum pum e dalla gibigianna, lo presero sul serio: ed il poeta ad esserne, prima di loro, persuaso: sì che al primo fischio, con cui si accolse Più che l'amore, il Dante novellino insorse contro l'audacia vergognosa ed attestò di sè stesso e delle Laudi «Il primo poema totale ecc.., che dopo la Comedia...» non accorgendosi di essere egli stesso, nel pronunciar la sentenza, un deplorevole svergognato per eccesso di vanità. Con questo paradigma egli dava il la ai suoi critici migliori, dopo d'averlo, a sua volta, ricevuto dal Croce, di sulle pagine di La Critica(13).
Furono ne varietur, le parole sacramentali; G. A. Borgese(14) le seguiterà, svolgendone il significato: «Come la Divina Commedia, è il più sublime proclama dello spirito, così la Laus Vitae è la più colossale dichiarazione dei diritti della materia. Ecco, è una Divina Commedia capovolta; nella storia della letteratura moderna essa occupa incontestabilmente l'altro polo». Sè, è la Bestialità trionfante a parole. - Non diversamente credeva di catalogarla Enrico Thovez: «Il poema della Laus vitae è il maggior sforzo di ingegno, che, dalla Divina Commedia in poi, sia stato compiuto nella poesia italiana; perchè, in arditezza formale supera anche la riforma del Leopardi. Gabriele d'Annunzio attuò ciò che il Leopardi non potè che iniziare, ciò che il Carducci non comprese, ciò che nessuno cercò, se non qualche seccatore, che la critica si affrettò a stroncare ed a sopprimere, perchè non desse noia: vide che la lirica moderna, che volesse aver dignità tragica, doveva rifarsi dai greci.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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