» Con lui, i navigatori intesero ed il fatto apparve reale: la critica lo può spiegare come una suggestione ed un contagio di isterismo maschile, dopo lunga e travagliosa navigazione; ma, in ogni modo, nell'ansa di Palodes, Thamos gridò: «Il Gran Pan è morto».
Epitherses, tra i passeggieri della liburna, aveva un figlio retore a Roma, dove, recatosi, sparse la novella. La quale, giunta all'orecchio di Tiberio Cesare, non ancora passato alla Villa Iovis di Capri, ma già dilettoso del triplice nodo e lavoro erotico, che li sfinctria di palazzo, a ricrearlo dalla sua noia e dal fastidio dell'impero, riproducevano, con bella plastica sul mosaico istoriato del Palatino, invogliò il despota di maggiori dettagli e fecesi chiamare Thamos.
L'egizio con una intricata e sottile psicologia, con un astruso raccontar di teogonie, per cui l'Adone di Siria s'intrometteva sotto il nome abolito e fenicio di Thammoz, raccontò la leggenda ed il miracolo.
Divinità tellurica e solare ad un tempo, Pan, forza operante della materia organizzata, energia del mondo, se pure simbolo agonizzato tra le rovine dei miti spodestati, non poteva essere sequestrato assolutamente dall'eucologico delle religioni dell'avvenire. L'alta filosofia ellenizzante, in quei giorni, venuta a contatto coll'indifferenza e colla critica atea di Luciano, doveva inradicarsi nelle future coscienze, incubate dal caldo sole, uscite sopra alle nebbie barbare del mille. Se Lucrezio aveva già assegnato al positivismo il suo posto nella poesia, Seneca, corrusco di imagini e sottile di argomentazioni, dallo stoicismo, estraeva un principio non dissimile a quello che il distruttore politico Paolo esponeva dalle inferriate, non strettamente custodite, della carcere mamertina.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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